Da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra, l’equilibrio si è rotto. Siamo una specie relativamente giovane: siamo su questo gioiellino rotondo da 300.000 anni, a dispetto dei 4,5 miliardi di anni di età del nostro pianeta, eppure abbiamo fatto più danni noi che qualsiasi altra specie, o evento climatico. Basta vedere le “liste Rosse” degli animali in via di estinzione o la velocità di distruzione di alcuni habitat, per capire la portata e le responsabilità delle nostre “prodezze”.
Io sono una umile guida di montagna, qualcuno tempo fa mi ha dato una patacca da appiccicare sulla mia giacca, con il tempo e i tanti passi fatti in montagna mi sono cominciato a sentire un po’ più responsabile nei confronti dei luoghi in cui sono solito portare le persone. Cerco di far vedere la bellezza a chi viene a camminare con me, cercando di far capire, e di capire io in prima persona, il sistema delicato e meraviglioso degli ambienti che ci circondano.
Abbiamo tutti l’obbligo di approfondire e capire alcuni meccanismi. Io, arrivato a 50 anni, per primo. Ma spesso mi riesce difficile capire le ragioni degli uomini, quelle dietro alla guerra ad esempio. Potremmo andare incontro alla nostra stessa estinzione a causa di strumenti che abbiamo noi stessi creato, come gli ordigni nucleari. Un famoso “adagio” recita così: “nessun topo al modo costruirebbe una trappola per topi”. Eppure, noi lo facciamo.
Le scoperte scientifiche degli ultimi decenni, soprattutto quelle astronomiche, ci hanno fatto comprendere che la Terra, che noi, non siamo al centro dell’universo, così come quelle di Darwin ci hanno fatto afferrare che non siamo esseri speciali, ma soltanto scimmie evolute. Di certo quelle bombe, se usate per davvero in una guerra su larga scala, cancellerebbero anche la convinzione più radicata di tutte: che noi siamo la forma di vita più intelligente.
L’acronimo LUCA significa Last Universal Common Ancestor (ultimo antenato comune universale) e rappresenta una teoria riguardante il progenitore da cui si sono poi evolute tutte le forme viventi, nella forma vegetale o animale. Due mondi completamente differenti, ma che in qualche modo dovevano rispondere alle stesse problematiche: mangiare, riposarsi, difendersi dai predatori, riprodursi, vivere una vita sociale.
Uno dei pensieri che più mi ha affascinato, fin dalle prime uscite in montagna, era pensare al mondo vegetale, che da addobbo inerte ho iniziato a guardare come elemento ricco di vita e di fascino, capace di meccanismi così diversi rispetto a quelli che utilizziamo noi. Darwin nella sua teoria dell’evoluzione dice che non sono gli esseri che trionfano sugli altri a vincere la gara, ma bensì quelli che meglio si adattano al pianeta.
In fondo, la vita media degli esseri umani, nelle migliori delle ipotesi, si aggira sugli 80 anni. Quella di un cavallo intorno ai 25, un gatto 15, un orso 30, una tartaruga delle Galapagos può superare il secolo. Ma tra i vegetali ci sono specie come il Pinus Longaeva che possono superare i 4500 anni di età.
E pensare che il Pinus Longaeva, così come i tanti faggi secolari in cui ci si può imbattere durante le mie escursioni, non sono dotati di cervello.
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