Non vedere il bosco per via degli alberi
Alla scoperta delle Foreste Vetuste (parte 2)
Alla scoperta delle Foreste Vetuste (parte 2)
(Se non lo hai già fatto, leggi la PRIMA PARTE)
Mi capita spesso di parlare di foreste durante le mie uscite. Nell’attesa di scorgere ombre furtive tra gli alberi mi piace raccontare la storia dei nostri boschi. Ripeterlo fa bene, sempre, tutte le volte: sono loro i veri protagonisti delle nostre montagne.
Non a caso nel PNALM ci sono ben 5 siti di Foreste Vetuste proclamati dall’Unesco anni fa.
Dal sito ufficiale del Parco:
“L’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo ha realizzato per conto del PNALM un accurato studio sulle foreste del Parco, mediante fotointerpretazione e rilievi di campo.
L’aspetto che maggiormente colpisce è la forte incidenza della coltre boscosa, tale da definire il PNALM come un “parco di foreste”.
I terreni boscati si estendono su oltre 29.000 ha, costituendo così circa il 60% della superficie del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. La forma di governo prevalente è quella ad altofusto. I cedui, dove ancora presenti, sono in fase di conversione naturale verso l’altofusto.
Le tipologie forestali sono state identificate principalmente sulla base di due aspetti del bosco immediatamente percepibili dall’occhio umano: composizione e struttura dendrologica”.
Durante le mie uscite mi imbatto in diversi tipi di governo dei boschi, una delle più spettacolari è sicuramente quella della gestione del taglio a capitozza: foreste in cui le forme degli alberi ricordano molto le ambientazioni abitate da elfi e fate, e che spesso vengono scambiate per le foreste vetuste. L’aspetto principale di questi luoghi è dato dal fatto che gli alberi, nella maggior parte dei casi faggi, si presentano con un aspetto che ricorda quello dei candelabri, dove un fusto spropositato relativamente basso è alla base di 4 -5 fusti che si innalzano per raggiungere altezze elevate.
Questa conformazione ha una storia particolarmente interessante, poiché è sempre frutto della mano dell’uomo ma più legata alla tradizione e agli usi popolari.
Durante il periodo della transumanza, gli uomini si recavano nel tavoliere pugliese per tutto il periodo che va da ottobre a maggio, e nei paesi restavano solo donne e bambini. Questi si recavano ogni giorno (fino a che le condizioni atmosferiche lo permettevano) nella “Difesa” (la “D’fensa”) portando gli animali domestici al pascolo e per raccogliere legna per uso domestico. Ovviamente una volta finito il lavoro di raccolta del legno secco caduto a terra, si passava al taglio di alcuni rami degli alberi. Questa pratica reiterata nel tempo e senza mai essere invasiva ha prodotto alberi che concentravano le loro energie nell’accrescimento dei fusti.
Questa pratica, che è durata per millenni, ha trasformato i boschi in quello che vediamo oggi: in sezioni di bosco straordinariamente belle. Un tempo, si racconta, erano dei veri e propri giardini all’aria aperta dove tutto aveva un ordine e una logica: muretti a secco per il contenimento dei terreni, o valloni curati alla perfezione per il contenimento delle acque piovane. Entrare ogni volta in questi boschi richiama alla mente situazioni e costumi ormai abbandonati ma sempre di notevole impatto.
Un altro aspetto legato a questi luoghi, che venivano frequentati dagli abitanti dei paesi abruzzesi, sono le leggende che si sono tramandate e che costituiscono il bagaglio culturale della nostra, e delle comunità tutte, legate al costume della transumanza. Ogni anno (durante il periodo estivo), grazie alla collaborazione che porto avanti con “Bradamante Teatro” di Pescara, dedico un trekking speciale per ricordare sia questa pratica sia per raccontare tutte le leggende che l’attrice di punta Francesca Camilla d’Amico ha raccolto e continua in maniera magistrale a interpretare.
Dove la mano dell’uomo, per fortuna, non è ancora mai arrivata, ecco che possiamo infine parlare delle Foreste Vetuste. Bisogna prima di tutto fare tanta strada, attraversare moltitudini di ambienti forestali diversi e finalmente si può arrivare all’interno di una di queste foreste. La sensazione si percepisce immediatamente: da subito si capisce di essere nell’intimo di un ecosistema dove l’uomo non è previsto.
Tutto colpisce i sensi: dall’aria che si respira, alla vista degli alberi. Ci sono quelli monumentali, che sono lì da prima che Cristoforo Colombo partisse per le Americhe, così come quelli che timidamente si affacciano alla vita. Sicuramente l’aspetto predominante è la quantità di alberi che dopo essersi schiantati al suolo per i molti, diversi, motivi continuano il loro esercizio per permettere agli altri esseri di trovare le sostanze nutritive che consentano la vita.
Non è mia intenzione tentare un trattato scientifico sull’importanza che hanno le Foreste Vetuste, anche perché non ne sarei capace. Piuttosto il mio obiettivo è quello di far capire il valore e la storia di questi posti sotto un profilo emozionale (cosa che durante le escursioni mi accade ancora). Camminare all’interno di questi musei a cielo aperto ci può dare il senso di come la natura raggiunga la sua perfezione, pur nell’apparente caos che è predominante.
Le foreste della Val Cervara, Selva Moricento, Coppo del Principe, Coppo del Morto e Cacciagrande, tutte inserite nel territorio del Parco Nazionale, ospitano gli alberi di latifoglie decidue più vecchi dell’emisfero Nord e rappresentano alcune delle Foreste Vetuste più importanti d’Europa.
Sono la promiscuità degli ambienti, la ricchezza di licheni, la stravagante forma degli alberi, l’intricata rete di tronchi di tutte le dimensioni, rocce, grotte, forre e rampicanti a donare magnificenza a questi luoghi.
L’intuizione di tutelare innanzitutto le foreste “primarie” del Parco che ebbe Erminio Sipari – intenzione “ben scolpita” nella lapide all’entrata del paese di Pescasseroli – racchiude non solo il proposito di salvaguardare uno dei territori più boscosi in Italia, ma (come del resto quasi 100 anni dopo si è scoperto) di vigilare su tutto quell’ecosistema che, a partire dal legno decomposto (necromassa), avrebbe visto sviluppare quei microorganismi che avrebbero garantito la sopravvivenza a tutta la catena alimentare. Dai piccoli animali agli insetti, agli erbivori, via via tutti avrebbero trovato così sostentamento, garantendo a loro volta la sopravvivenza del vertice della catena stessa: i carnivori come l’orso e il lupo.
Questi luoghi fantastici non hanno incontrato l’ascia dell’uomo per una straordinaria casualità e oggi rappresentano tesori inestimabili. Luoghi dove la mente vola verso le pagine degli autori che ne hanno descritto la natura come madre della vita intesa in tutte le sue forme. Poterci camminare dentro ha un valore inestimabile. Periodicamente sul mio calendario di escursioni fisso delle date per visitare alcune Foreste Vetuste, andiamoci insieme…
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